CIO’ CHE È ESPRESSO, È IMPRESSO

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

Se vi dicessi: 

CIO’ CHE È ESPRESSO, È IMPRESSO 

Quale sarebbe il vostro primo pensiero?

“Esprimere” dal latino exprimĕre: manifestare a parole i propri pensieri.

Ciò che esprimiamo a parole si fissa nella nostra mente, nel nostro spirito e nel nostro corpo.

Attraverso le parole che esprimo genero un’energia che si propaga in me ed intorno a me facendo “vibrare” anche chi mi circonda.

Diversamente resta solo un pensiero che circola nella testa come un cavallo indomabile.

Come qualcuno che ci continua a parlare all’orecchio senza averne il permesso.

Perché esprimendolo si fissa in noi?

Perché quest’azione rende “visibile” ai nostri occhi ciò che prima era inespresso, celato, implicito. Ci dona una nuova coscienza di quanto era nascosto dentro di noi.

E cosa ci consente di fare questo apparente semplice passaggio?

Di agire in maggiore “integrità” con noi stessi. 

Parliamo d’Integrità quando le tre dimensioni, quella relativa a ciò che penso, a ciò che dico ed a ciò che sento, sono perfettamente allineate in noi.

Del resto Socrate diceva anche: “La domanda è possibile quando la risposta è già presente”. 

Direi che questo completa meglio i benefici che si ottengono nel lasciare agire il nostro corpo liberamente (per esempio in uno spazio di rappresentazioni tridimensionali) perché sicuramente, se non forzato, esso manifesterà ciò che nel profondo sappiamo già di poter ammettere a noi stessi anche se a volte teniamo questa informazione celata dentro di noi perché abbiamo la percezione di dover rimanere leali al nostro sistema familiare.

Come posso scalare una montagna se prima non ne ammetto l’esistenza? 

Se prima non la “vedo” davanti a me?

E perché prima ne negavo l’esistenza? 

Nell’ammettere che quella montagna è davanti a noi, ci doniamo la possibilità di scegliere se e come scalarla, quale attrezzatura portare con noi, quali risorse mettere in campo per raggiungere la vetta. 

Vi è coerenza in ciò che manifesto verbalmente rispetto a ciò che agisco successivamente.

La vita è un viaggio alla scoperta di sé stessi e farlo restando coerenti con ciò che si sente, vedendo ciò che realmente è da una “finestra” di piena coscienza, esprimendo a sé stessi ciò che solitamente rimane celato in un cassetto della nostra anima, lo rende un viaggio ancora più affascinante.

Quando si dice una verità a voce alta poi bisogna affrontarla. 

Sarà forse per questo che spesso la si reprime?

E oggi la domanda è: sei pronto a dirtelo a voce alta?

LA PAROLA GENERATIVA … FINORA

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

La parola generativa: FINORA

Nella grammatica italiana finora è un avverbio di tempo la cui funzione è quella di accompagnarsi ad un verbo, un sostantivo, un aggettivo, un altro avverbio o a un’intera frase, modificandone o specificandone il significato.

Se la consideriamo da un punto di relazionale, sistemico e familiare questa capacità di modificare il significato della frase, si amplifica, assumendo una funzione generativa.

Quante volte il sistema di cui facciamo parte, familiare, professionale, sociale, ci attribuisce delle etichette che, alla lunga, pensiamo ci definiscano per chi siamo veramente?

“Tu sei sempre quello distratto”

“non fai mai nulla per…”

“sei sempre quello che…” 

“di te non ci si può fidare” 

e così via.

Etichette che associano a questi pensieri parole con un’accezione assolutistica come: “sempre”, “mai”.

E così, giorno dopo giorno, arriva il momento in cui guardandoci allo specchio pensiamo: 

“io sono distratto”

“io sono ignavo”

“io sono inaffidabile”

Il protrarsi di questo schema comportamentale fa sì che una conclusione basata su un input esterno e soggettivo, diventi una nostra CONVINZIONE LIMITANTE: se tutto il sistema mi dice che sono così, allora significa che sono proprio così!

Attenzione: ciò che pare essere, non è detto che sia ciò che realmente è!

Come si può provare a rimette al giusto posto le convinzioni limitanti?

Con la valorizzazione della parola FINORA.

“Io sono stato una persona distratta, finora.” 

“non ho mai fatto nulla, finora

“sono sempre stato quello che……finora

“sono stato una persona inaffidabile, finora

Che percezione vi risuona dentro? 

Sentite come la parola FINORA interrompe il circuito elettrico della mente che tiene accesa quella determinata convinzione limitante?

“Si, è vero, sono stato una persona inaffidabile FINORA.

Da domani posso scegliere di essere affidabile.”

Questa parola pone un paletto, un limite, una linea di demarcazione netta tra chi sono stato o chi mi hanno fatto credere di essere e, da quel momento in poi, la persona che posso scegliere di essere grazie alla presa di coscienza della mia vera natura.

È la porta che ci apre nuovi scenari evolutivi, percettivi e cognitivi di noi stessi.

Ed allora forse la domanda funzionale è: chi scelgo di essere da oggi in poi?

COMPRENDERE E CAPIRE: C’E’ DIFFERENZA?

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

COME SI FA A COMPRENDERE SENZA CAPIRE?

C’è una forza che guida verso il Capire ed una verso il Comprendere.
Questo nonostante l’umanità si basi abitualmente sul pensiero cartesiano = COGITO ERGO SUM.

Partiamo da due semplici concetti:
La teoria è orientata al CAPIRE e riguarda la dimensione del Fare che si trova nella Mente.
Ad un dubbio che si ha, si pone una domanda facendo propria la risposta del nostro interlocutore. Ok, abbiamo Capito.
In questo modo il dubbio che tiene viva la curiosità, svanisce e con quello la ricerca della risposta stessa.

L’esperienza è orientata al COMPRENDERE e riguarda la dimensione dell’Essere che si trova nel Corpo.
Al dubbio che si ha, si trova la risposta da sé ed in sé attraverso l’esperienza che personalmente si fa. Ok, ho Compreso.

Semplicemente vivendo ed ascoltandosi, mantenendo così viva la curiosità di scoprire da sé ciò che la vita ha da insegnare.
E questo può accadere quando un genitore risponde umilmente al figlio “non lo so”.
Risposta rara e preziosa al tempo stesso.
Cosa lo spaventa tanto nel dare una simile risposta?

Spesso i genitori pensano di avere la risposta giusta per far capire le cose ai loro figli, dissipare ogni loro dubbio, incertezza. Non si rendono conto, invece, che così facendo gli passano la loro esperienza di vita al posto di lasciarli liberi di fare la propria.

A volte, peggio ancora, vietano.

Perché vietare ai figli di fare qualcosa equivale a toglierli l’opportunità di vivere
quell’esperienza diretta di vita in cui trovare le risposte che cercano.
Come mai vietano ai loro figli di fare qualcosa?

Cosa temono nel permettergli di farlo?

Cosa pensano gli possa sfuggire di mano?

Ricordiamo che un fondamento della sistemica è il concetto “Nessuno Escluso” ed inquesto caso intendiamo che non è esclusa nemmeno la mente.

A volte nella vita si presentano situazioni nelle quali è necessario Capire.

Altre volte lo è Comprendere.

Entrambe le attitudini sono necessarie se vogliamo vivere a pieno il nostro essere.

E allora forse oggi la domanda da porsi è:
Quale abilità genitoriale bisogna che alleni per permettere a mio figlio di Comprendere?

Genitori Ego-Isti o Ego-Riferiti?

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

Oggi condivido la mia riflessione Sistemica partendo da una domanda:

La genitorialità croce o delizia?

Sono mamma di un ragazzo di 12 anni.

Il grosso cambiamento che ho attuato anche grazie alla sistemica è stato quello di riuscire a lasciare che mio figlio avesse il suo spazio evolutivo, permettendogli di essere sé stesso, di essere libero di sperimentare, di conoscere le sue potenzialità ed i suoi talenti, i suoi punti di forza e di entrare in contatto profondamente con le sue emozioni e i suoi sentimenti.

Come?

Scegliendo di essere una mamma Ego-ista.

Associare questo concetto alla genitorialità può sembrare alquanto curioso.

Solitamente associamo l’essere Ego-ista al non curarsi dei bisogni degli altri.

Il concetto di CURARE indica proprio il “prendersi cura di qualcuno.

Ed allora come possiamo prenderci cura dei nostri figli comportandoci da genitori egoisti?

Partiamo dal concetto dell’essere Ego-Riferito inteso come: cosa voglio per me?

Se stiamo bene noi, al nostro giusto posto di adulti e genitori, tutto il nostro sistema ne beneficia.

Questo agire ci rende liberi, dando un vero e proprio esempio di vita ai nostri figli.

L’esempio di poter scegliere liberamente ciò che vogliamo per noi anziché ciò che si aspettano le persone che fanno parte della nostra quotidianità.

Facciamo capire ai nostri figli che anche loro possono avere uno spazio libero di evoluzione imparando a loro volta ad essere Ego-isti = Ego-Riferiti domandandosi a loro volta “Cosa voglio per me?”.

Lasciargli così il giusto spazio di crescita facendogli tuttavia sentire quella vibrazione genitoriale che dice: IO PER TE CI SONO.

Essere un modello di vita, un modello evolutivo.

C’è un insegnamento che si dà senza le parole: si chiama esempio.

E allora mi domando:

Si può far percepire la propria presenza genitoriale stando in silenzio, osservando da lontano?

Si può essere genitore in una dimensione di Silenziosa Presenza?

L’Amore si trasforma

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Coordinatore Genitoriale

 

Nelle precedenti riflessioni mi avete sentito citare spesso l’espressione “flusso di amore all’interno del nostro sistema”.

Questo è l’aspetto sul quale oggi desidero condividere con voi le mie riflessioni.

Se finora ho parlato di Amore nell’accezione più ampia del termine, oggi ne parlerò nella sua accezione più nota: quella Romantica.
Quella che abitualmente associamo al rapporto di coppia. 

In fisica esiste il concetto di Risonanza.

Questa avviene quando due campi energetici di uguale intensità e frequenza si incontrano.
In sistemica si parla di RISONANZA quando elementi sulla stessa frequenza energetica, si attraggono. 

L’esperienza che ho maturato finora nella mia vita, mi ha portato a prendere coscienza, in modo chiaro, di due aspetti di questo tipo di Amore:
• l’amore finisce
• l’amore non basta

Tuttavia, dopo essere entrata nel meraviglioso mondo della sistemica e grazie ad essa, ho riformulato il primo:
l’amore si Trasforma 


Userò una metafora per essere più chiara:

Quando si accende una candela magari all’inizio fatica a “carburare”, così come succede all’Amore.

Ma quando comincia a bruciare, comincia ad incidere l’interno della sua struttura, andando all’Essenza di sé, iniziando così a splendere, senza far fumo, ed è bellissima.

Emana calore nella sua luminosità. Si resterebbe lì a guardarla per ore.

T’innamori di quello spettacolo.

Poi piano piano, se la si osserva attentamente, ci si accorge che man mano che lei ama (perché se una candela fosse assimilabile all’Amore, ciò che farebbe invece di bruciare sarebbe Amare), si trasforma.

Prima era cera: una parte si dissolve in fumo ed una parte si scioglie e ci viene restituita sotto forma di luce e calore.

Guardando per terra verrebbe da dire: “cos’è quella cosa lì?” 

Quella è la cera che si trasforma in altro.

Alla fine non c’è più una candela accesa e per questo si potrebbe pensare “Allora non ama più!” 

Non è così.

Semplicemente mentre bruciava ha plasmato, con la sua cera, la base di quello che serve per consolidare il processo di trasformazione. 

Semplicemente si è trasformata in altro.

Continua ad esistere, ma in un’altra forma.

Il secondo concetto, l’amore non basta, rimanda a due aspetti:

• al nostro sistema famiglia di origine

• alla diversità di valori e di progetti di vita

Il primo rimanda al concetto sistemico espresso nel precedente articolo, Essere fuori Posto

Ricordiamo che ciò accade quando un piccolo si comporta da grande.

E se un piccolo si comporta da grande è perché qualche grande glielo permette. 

Quando si finisce “fuori posto” da piccoli, spesso si tenderà quindi a non riconoscere il proprio posto. 

Ed in questo caso specifico intendiamo il proprio posto nella dimensione di Amore.

Questo comporta che nelle relazioni tra adulti, tra pari, si possano vivere grandi innamoramenti e poi grandi delusioni piuttosto che alternare il prevaricare all’essere prevaricato, l’appoggiarsi al sostenere. 

Dunque, comporta vivere rapporti non in equilibrio e faticosi da coltivare.

Solo chi è al “giusto posto” può amare con leggerezza.

Quel “giusto posto” che la Vita ti assegna cronologicamente.

Il secondo invece prende forma quando, seppur pervasi da quell’Amore romantico che ci viene tramandato sin da piccoli, prevale l’esperienza maturata nella vita.

Quell’esperienza che modifica la nostra scala valoriale così profondamente da impedire progetti di vita simili, tra noi e la persona destinataria del nostro Amore. 

Valori come l’Amore, l’Amicizia, la Famiglia, il Denaro, il Lavoro.

Valori che iniziano semplicemente a differire così che l’Amore dell’Universo non basta a tenere unite quelle due anime.

Grazie alla sistemica, ho compreso che anche quando ciò avviene, possiamo comunque scegliere di vivere a pieno la dimensione di Amore Puro.

Quello che è intorno a noi, in ogni cosa che ci circonda.

Come?

Un’osservazione sistemica è quella secondo la quale esistono tre dimensioni.

Se vissute tutte e tre in modo completo, allineandole in noi stessi, portano a godere a pieno di questa dimensione totale di Amore.
Le tre dimensioni sono:
• Mente
• Corpo
• Anima,Spirito

Immaginatevi l’incontro tra due persone:
Come stai? Bene  MENTE
Bene dove? Nella pancia  CORPO
E cosa senti lì? Calore  SPIRITO
Ed ora immaginate il gioco della settimana enigmistica in cui si uniscono i puntini numerati.
Immaginatevi di unire queste tre dimensioni come se steste unendo i puntini.
Scoprirete così che la vibrazione che sentirete in voi, vi permetterà di percepire tutto ciò che vi circonda, tutte le varie sfumature delle situazioni che vivete, in modo così potente da riuscire a sentire interiormente SE e COME quella data cosa vi risuona, in quale parte del vostro corpo, con quale intensità.

E se sentirete quella vibrazione, allora significherà che siete sulla giusta strada per accogliere la dimensione di Amore Puro, restando in linea con il vostro sentire.

Accogliendo anche quell’Amore Romantico che si trasforma e che a volte non basta.

Allora forse oggi la domanda è: scelgo comunque che sia un mio valore? 

Essere o non Essere al Giusto Posto?

a cura della dott.ssa Marta Badella
parentAbiliter, Coordinatore Genitoriale

 

Quando una persona sceglie di approcciarsi alla Sistemica, attraverso l’incontro con un professionista, probabilmente sente dentro di sé che qualcosa è fuori posto percependo così il bisogno ed il desiderio di mettere ordine nella sua vita.

Quello che insegna l’approccio Sistemico-Relazionale è che quel “qualcosa fuori posto” molto probabilmente siamo noi nel nostro Sistema familiare d’origine.

Sistema inteso come un insieme di elementi in relazione tra loro.

Cosa significa, allora, essere “Fuori Posto?”

Significa aver smesso di essere al Giusto Posto in quel Sistema, quello nel quale nasciamo per Amore dei nostri genitori.

Abbiamo il diritto di vivere la nostra vita come scegliamo e prima la dobbiamo ricevere dai ns genitori.

Al momento della nascita siamo “completi”, non ci manca nulla e siamo al Giusto Posto.

Attraverso la Sistemica riconosciamo che successivamente, crescendo, spesso escludiamo delle parti di noi, dei membri del nostro Sistema Famiglia, che sono invece indispensabili per restare in quel Giusto Posto originario. 

Uno dei fondamenti della Sistemica, infatti, è NESSUN ESCLUSO dai sistemi familiari

E cosa significa? 

Significa che non si può escludere nessuno a meno che non siamo disposti a pagarne un prezzo. 

Questo prezzo spesso passa attraverso la disarmonia, la sofferenza di altri elementi del sistema, di solito i più piccoli, gli ultimi arrivati.

Ci si potrebbe chiedere: “Quale beneficio avrò nel tornare al Giusto Posto?” 

La Sistemica ti risponde: “L’enorme beneficio di lasciare liberi noi stessi e, in caso, i nostri piccoli e quello di far fluire nuovamente l’energia vitale d’Amore nel tuo Sistema”. 

Si comprende così come spesso andiamo fuori posto perché qualcuno prima di noi ha provato a smettere di amare, interrompendo così quell’energia che permette ai sistemi di essere adattivi, di evolvere nel loro destino. 

Qualcuno per esempio come la nonna, la mamma, un caro il cui spirito ha abbandonato il corpo. 

Spesso vengono viste come delle esclusioni per non volerne sentire il dolore.

Ed è così, allora, che inizia un percorso di sofferenza.

Sofferenza intesa come la distanza tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse. 

Anche per questo spesso serve avere un diverso livello di coscienza.

Perché è con la consapevolezza che si può essere risvegliati alla realtà che invece tendiamo ad interpretare

Il professionista che utilizza un approccio Sistemico-Relazionale offre un percorso evolutivo nel quale acquisire gli strumenti necessari per tornare al “Giusto Posto”, percependo così un nuovo ordine nella nostra vita: un’omeostasi sistemica

E come ci riesce? 

Attraverso la rappresentazione sistemica, tridimensionale che utilizza, ci permette di vedere ciò che, dentro di noi, per molto tempo è rimasto nascosto ai nostri occhi a volte anche alla nostra mente, rendendolo invisibile.

Ma in realtà è sempre stato lì. 

Lo avevamo semplicemente rimosso, dimenticato.

Il Professionista Sistemico ci educa, nel senso originario del termine latino di educĕre: trarre fuori, allevare. 

Ci mette nella condizione di tirare fuori le nostre abilità personali e genitoriali, che da sempre sono presenti in noi, ma sino a quel momento rimaste inespresse.

L’opposto del concetto latino di insĭgnare: imprimere segni nella mente, nel senso di “mettere dentro” a qualcuno la nostra idea, il nostro punto di vista, la nostra personale interpretazione.

La visione sistemica non contempla il concetto di giusto o sbagliato, meglio o peggio.

Piuttosto porta a domandarci se ciò che si osserva è funzionale o disfunzionale alle capacità adattive del Sistema stesso.

Ed anche i ruoli che vi rappresentiamo ci possono aiutare a distinguere ciò che si è da ciò che si interpreta. 

 “Non si può vivere e non evolvere” come sosteneva Darwin.

Ed in questa dimensione, ci rendiamo conto che spesso utilizziamo l’espressione “Io Sono” radicando ancora di più in noi la convinzione di essere ciò che il nostro Sistema Famiglia ci ha insegnato per il solo fatto di appartenere a quel Sistema.

E per questo magari siamo andati fuori posto

Ricordiamoci:” perché un piccolo finisca fuori posto deve esserci almeno un grande consenziente”.

Concludo questa prima tappa del nostro viaggio alla scoperta della Sistemica con una riflessione:

Forse per tornare al Giusto Posto è sufficiente costruire la nuova strada utilizzando tutti i materiali che da sempre abbiamo a disposizione. Nessuno escluso. 

 

Non sei abbastanza, non fai abbastanza
di Prem Siri K.K.

 

Mi sento molto stanca, a tratti sopraffatta e inondata da un profondo senso di insoddisfazione.

Osservo la mia vita, cosa faccio e mi dico “Dai, non hai motivo per sentirti così, che succede?”.

Mi fermo e l’unica risposta che arriva è “non lo so!”.

Quindi come spesso faccio, chiamo Max e gli chiedo di aiutarmi a comprendere e vedere ciò che non riesco. Inizio a raccontare, lui mi ascolta e poi mi chiede:”quando è successo la prima volta?” … una domanda che mi lascia perplessa e mi spinge a chiedere: “ quando è successo cosa?” … lui :” quando hai iniziato a cercare di fare felici i tuoi genitori?”

Mi manca il fiato appena sento quelle parole, poi lo stomaco si alleggerisce e sorrido di tenerezza per me, perché sento la fatica di questa impresa: un monte da scalare, senza arrivare mai alla cima. Una traguardo inesistente, che è tale proprio perché nessun figlio deve rendere felici i genitori. Non è il loro compito, non è il loro destino.

Questa impresa ha un impatto in tutta la mia vita, nel lavoro, nelle relazioni, nei miei progetti … come avere un buco in cui entra il meglio di me e si disperde, portandomi alla stanchezza, all’esaurimento e a non mettere energia in ciò che veramente può fiorire e prosperare.

Come fare? Max mi invita a sentire come è riconoscere questa verità e poi mi fa fare un esercizio sistemico. I miei genitori sono davanti a me, li guardo e gli dico: “ Ci ho provato, ce l’ho messa davvero tutta, ho dato il massimo, ma per me è troppo, voi siete grandi e io piccola”. Pensavo fosse più dura, nel reame delle azioni invece ho sentito dolore al cuore e tanta leggerezza.

Spesso quando si è piccoli e ci viene chiesto di dare invece di ricevere, tipicamente amore e attenzioni che chi è grande di norma dona ai suoi piccoli, si risponde inventandosi varie strategie per fare felici i nostri genitori pur non avendo alcuna idea di come fare. Diventiamo bravissimi a dare, dare e dare ancora e spesso l’effetto collaterale è che non ci sembra mai di aver fatto abbastanza!

Ma un piccolo non può dare ad un grande ciò che il grande può solo scambiare con i suoi pari, così si finisce fuori posto, ci si stanca per accorgersi prima o poi che un piccolo non può fare felice un grande, almeno non in questo modo.

Sono passati alcuni giorni da quando ho fatto l’esercizio ed è successa una cosa importante: sono diventata maggiorenne!

La notte del 18° anniversario della morte di mio padre, ho fatto un sogno. Un sogno che aveva un sapore di guarigione. Ho sognato mio padre, eravamo nella nostra casa, quella dove sono cresciuta. Mio padre era al tavolo e parlava con Max. Max era venuto da un viaggio lontano e aveva portato con se un regalo: un gruppo di artisti che hanno organizzato una festa, una parata: c’era allegria, c’era musica, c’era leggerezza, c’era felicità!

Al mio risveglio, ho sentito mio padre al mio fianco, erano 18 anni che non l’ho sentivo con la sua forza, la sua leggerezza, la sua allegria, la sua ironia, la sua curiosità … doni e tesori che sono anche miei.

Grazie per la vita, è tanto ed è abbastanza, proverò a farne qualcosa di buono!

PRENDI IN MANO A TUA VITA E FANNE UN CAPOLAVORO UNICO.
Giovanni Paolo II

 

PROGETTIAMO LA NOSTRA CASA FUTURA?

 

 

Lo facevamo spesso, quando i miei ragazzi erano piccoli.

Ognuno con il proprio foglio di carta, più o meno ampio a seconda delle ambizioni e via a dare libero sfogo alla nostra fantasia.

La mia casa con qualche autolimitazione di troppo, la loro totalmente libera da vincoli.

Ed ecco che tornavano con progetti faraonici (secondo il mio giudizio, non certo secondo loro) dove le loro case avevano piscine, campi da tennis, spa, sale di proiezione e molto altro ancora.

In questi giorni di sosta e riflessione forzata, mi sono ricordata di quanta ricchezza c’era in quei momenti: libera espressione, intima condivisione, complicità, impegno.

Oggi Costanza “la piccola” ha 15 anni, non ama più fare giochi con la mamma ma ha ancora una innata capacità di organizzare alla perfezione le sue idee sopra un foglio bianco. Mi ha sempre stupita la sua capacità di posizionare i suoi progetti nello spazio che le veniva assegnato.

Perché non riproporre lo stesso gioco?

Eccoci qui, in questo lasso di tempo sospeso, a darci questa rinnovata possibilità di esprimere le nostre aspirazioni più intime.

Si parte!

Costanza nel giro di poco mi presenta la sua bozza: splendida!

Ma questa non è una casa, è una Dimora!

Questo non può rimanere un disegno, deve diventare un manifesto, quindi serve un foglio con un formato che lo supporti!

Incantevole!

Costanza ha il coraggio di mettere su carta quello che io per pudore non ho mai osato pensare per me. E ci sono pure parchi e giardini a completare questa dimora.

Nonostante mi occupi di architettura da prima che lei nascesse, credo di non averle mai insegnato a progettare una casa, tanto meno un giardino; evidentemente lei ha saputo cogliere queste capacità da se.

Che meraviglia!

Come avrei potuto fare di meglio?!

A questo punto decidiamo che il progetto è perfetto e va solo colorato perché acquisti ancora maggiore valore e sia la possibilità di frequentare luoghi che per ora sono luoghi dell’anima.

Cosa aggiungere?

Provate anche voi e lasciatevi stupire da quello che appariràe inviateci i vostri disegni … o scriveteci la vostra esperienza!

Pronti?

Facciamolo insieme!!!

Materiali occorrenti:

  • carta (bianca, di giornali, qualsiasi)
  • forbici
  • colori
  • colla
  • bacchetta di legno o striscia di stoffa
  • viti , puntine o ago e filo

Forse perché mi piace da sempre usare le mani per costruire, aggiustare, creare…. in genere i giochi che ho fatto e che ancora faccio con i bambini coinvolgono le capacità creative di disegno, pittura … bricolage.


Così mi è balenata questa idea di costruire con la mia bimba un oggetto, gioco, creazione che diventasse parte, almeno per un po’ o della sua cameretta o  del nostro spazio di gioco.

E così abbiamo fatto la parete delle farfalle…..


Abbiamo pitturato, ritagliato, disegnato e incollato insieme …

e alla fine abbiamo ottenuto un piacevole risultato.

Abbiamo cercato su internet le farfalle e alla fine fra le immagini trovate abbiamo scelto una forma che le piacesse e… via al lavoro.

Per rendere il lavoro più veloce ho stampato un bel po’ di farfalle di varie dimensioni, su carta

che poi abbiamo colorato e ritagliato, e anche abbiamo pitturato dei fogli che poi con le forme abbiamo ritagliato.

In mancanza di carta da disegno sono bellissime anche fatte con i fogli di riviste, giornali e con le pagine di un vecchio libro.

Noi abbiamo assemblato il tutto con colla vinilica, filo da pesca (che avevo in casa) e vitine dorate e una barretta di legno.

In mancanza di questi materiali si possono utilizzare benissimo del filo da cucire o del cordino o delle piccole striscioline di stoffa tagliata da un vecchio lenzuolo.

Noi abbiamo scelto le farfalle, tu puoi scegliere quello che preferisci: fiori, stelle, animali, cuori, super eroi, automobiline ….

Crea la parete che vuoi 🙂 con le forme che ami e i colori che ti piacciono!

Certo potrebbe essere che molto lavoro lo faremo noi grandi e tutto sommato è un buon modo per tenere la mente sgombra e comunque il tempo condiviso in questo modo è un buon tempo e il risultato, qualunque esso sia esteticamente, sarà estremamente soddisfacente e resterà un ottimo ricordo di queste giornate.

Insomma…. lanciatevi nell’impresa, siate creativi e divertitevi tutti insieme.

 

Strega comanda color ..

Tutta la casa è il nostro campo da gioco, anche se in genere si gioca all’aperto 🙂

La “strega” è il giocatore che dirige il gioco e ha l’obiettivo di catturare gli avversari.

Fate la conta per decidere chi sarà la prima Strega!

Il gioco inizia con la strega che dice ad alta voce: “strega comanda color… seguita dal nome di un colore (per esempio, strega comanda color melanzana).

Tutti i giocatori devono cercare un oggetto del colore scelto dalla strega per mettersi in salvo.

La strega deve catturare uno dei giocatori prima che trovi l’oggetto.

Il giocatore catturato diventa “strega” nel turno di gioco successivo.

Mandaci le foto del gioco e raccontaci la tua esperienza!

 

Foto prese dal web

Il castello di carte

Ci serve un tavolo e un mazzo o più mazzi di carte.

Si costruisce il castello così:

  • si fa una fila di triangoli con 2 carte
  • mettiamo tra una punta e l’altra una carta a collegare
  • costruiamo la seconda fila di triangoli sopra

e si va avanti cosi…

Vince chi fa il castello più alto senza far cadere tutto!

Armati di pazienza e fantasia e inviaci le tue foto!

Nomi, Cose, Città, Fiori, Animali

Ci serve un tavolo, penne, un foglio per persona e un foglio su cui scrivere l’alfabeto !

Ogni giocatore prende un foglio e disegna 6 colonne, scrivi sopra ogni colonna Nomi, Cose, Città, Fiori, Animali.Nell’ultima colonna segni il totale dei punti 🙂

Prima di iniziare si devono scrivere, in modo sparso, le lettere dell’alfabeto su un foglio e lo si mette al centro del tavolo.

Si fa la conta per chi inizia per primo.

Chi inizia, ad occhi chiusi mette a caso la sua penna sul foglio e sceglie una lettera.

Ecco si inizia.

Iniziate a scrivere in ogni colonna un nome, una cosa, una città, un fiore, un animale  che inizia con quella lettera.

Il primo che finisce grida: Finito! e gli altri devono buttare giù le penne.

Ogni parola giusta e unica 10 punti

Ogni parola giusta, ma scritta da più persone 5 punti

Parola non trovato o inventata 0 punti.

Mandaci una foto e dicci come è andata? Hai vinto :-)?

LARRY LA SCIMMIA GIRAMONDO

Salve!! Sono Larry un Rosebonbon.

Lo so è difficile comprendere in realtà cosa sono e vi dirò, semplicemente sono una scimmia; una scimmia un po’ fuori dal comune perché io amo viaggiare e adoro le avventure.

Le prime volte mi nascondevo dentro uno zainetto o le valigie, per potermi imbarcare e poi mi defilavo quando arrivavo a destinazione … poi ho conosciuto una famiglia che mi ha accolto a braccia aperte e da quel momento viaggio sempre con loro.

Che avventure!!!!

SEGUITEMI……SI PARTE!!!!!! … e alla fine scrivetemi o mandatemi un disegno del mio viaggio 🙂 giochiamo insieme!

 

PORTLAND BILL

Il faro della Cornovaglia

In Cornovaglia, nel sud della Cornovaglia nell’Isola di Portland c’è un faro che porta con sé una storia straordinaria e il suo nome è Portland Bill. Il mare davanti al faro è da sempre tanto pericoloso perché 3 miglia a sud-est c’è lo “Shambles”, il banco di sabbia e lo scontro tra le onde di mare in questo punto rende le acque costantemente turbolente. Molti furono i naufragi in questa parte di mare ma c’è anche un’altra storia che vi voglio raccontare.

C’era una volta un ragazzo di nome Harris che era molto prepotente, egoista e maleducato. Non conosceva l’amicizia perché riteneva che nessuno era degno di lui, come amico. Lui era il più bello, il più bravo, il migliore. Tutti avevano paura di lui perché una volta aveva picchiato un suo compagno solo perché gli aveva chiesto di condividere un pezzo di pane. Quelli erano tempi difficili, tempi in cui non era facile avere del buon cibo, solo chi era ricco poteva permettersi di mangiare sempre, ma Harris che aveva tutto il pane che voleva, era egoista e nessuno doveva permettersi di chiedergli nulla. Così tutti gli stavano alla larga ma lui era felice e non si rendeva conto di essere solo anzi, pensava di essere un Re. Un giorno divenne Capitano e incurante di tutto e di tutti decise di comprare una Nave “La rossa favolosa” e partire per terre sconosciute alla ricerca di ori, ricchezze ed onori. Viaggiò in terre dai colori caldi dove la terra era rossa e il sole d’oro, ma anche verso terre dai colori freddi dove il cielo era blu e le verdi foreste erano magiche piene di fiori viola e farfalle fosforescenti e in ogni terra dove aveva approdato, con la sua sfrontatezza, con la sua prepotenza aveva raccolto tutto quello che di più prezioso esisteva. Non aveva amici, ma era felice e si sentiva forte, non aveva bisogno di nessuno; proprio per questo decise di tornare in Cornovaglia, per far vedere a tutti il suo valore.  Arrivò 3 miglia a Sud-est dal promontorio di Portland quando la sua nave si imbattè nello “Shambles” e la nave si incagliò, nel frattempo il vento iniziò a soffiare sempre più forte fino a che le onde iniziarono a farsi sempre più alte e prepotenti. La Nave anche se era riuscita a disincagliarsi, stava imbarcando acqua, ma era impossibile riparare il danno. Provava a seguire la sua rotta, ma le onde non lasciavano scampo, erano troppo forti, alte, si scontravano pericolosamente e la notte stava arrivando. Fu allora che Harris decise di lasciare il timone per avventurarsi sulla prua in cerca di qualcosa che gli facesse capire dove andare, ma all’improvviso venne sbalzato in mare. Questo lo stava portando sempre più a fondo e solo allora capì di essere solo, di aver bisogno di qualcuno che lo aiutasse.

“Non si può far tutto da soli, a volte non è possibile”, mentre pensava a questo gli venne in mente quante volte le persone gli avevano chiesto aiuto e lui si era rifiutato con prepotenza. Il suo

cuore era duro come una pietra, ma ora se fosse tornato indietro avrebbe agito diversamente. Quando credeva che tutto fosse perduto, una sirena lo prese fra le braccia e lo portò in superficie dove il suo equipaggio riuscì a salvarlo. La Sirena sussurrò al suo orecchio: “Vedrai una luce che ti scalderà il cuore, seguila perché ti salverà”.

Riprese il timone e riuscì nella dura lotta contro le onde fino a che vide una luce che andava e veniva, era la Luce di cui parlava la Sirena, era la luce del faro di Portland Bill.

Il guardiano del faro riconobbe la “Rossa Favolosa” e ricordò il “Capitano” che una volta lo aveva picchiato solo perché gli aveva chiesto un pezzo di pane. Il guardiano del Faro però dimenticò immediatamente quell’episodio perché qualcuno aveva bisogno del suo aiuto. Con tenacia guidò “La rossa favolosa” che riuscì ad approdare portando in salvo il Capitano Harris e il suo equipaggio. Quella luce fu un vero miracolo per il Capitano e pensava che più la seguiva, più qualcosa nasceva dentro il suo cuore che ora non era più di pietra. Harris decise di condividere tutto il tesoro che aveva accumulato con le famiglie più povere di Portland, realizzò un parco giochi per i bambini e dedicò tutta la sua vita ad aiutare gli altri. Si mormora che ogni giorno fino alla sua morte Harris andava al faro per ascoltare il canto della Sirena che lo aveva salvato e per ringraziarla di avergli fatto conoscere l’altruismo, la generosità e l’amicizia.

Non è una storia interessante?

Se potete, visitate questo posto! E’ veramente magico!

Se ti siedi su una panchina ad ascoltare il mare puoi veramente sentire il canto della Sirena, io l’ho fatto e vi assicuro che si sente!!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi questo faro non è più funzionante e in realtà negli anni ne  fu costruito un altro a supporto del portland Bill Lighthouse.

Anche questo fu insufficiente, il mare si portava via ancora vite e così vennero dismessi tutti e due ma ne fu costruito uno nella collina e tutt’oggi è ancora funzionante. Da lì si vede il mare e il meraviglioso Faro di Portland così importante nella storia che vi ho raccontato.

 

Leggere favole, fiabe o racconti era un rito nella giornata dei bambini, per addormentarsi, per allietare i lunghi pomeriggi di inverno, per passare del tempo insieme…

Le storie potevano essere già scritte o potevano essere inventate al momento.

Ogni favola, fiaba o racconto inizia con “C’era una volta…” e ora diciamo “C’erano una volta le favole”…

E’ importante recuperare questa tradizione, integrandola ad un buon cartone o anche ad un videogioco.

Raccontare una storia, una fiaba, non vuol dire impartire una morale o una lezione, ma stabilire una connessione totale e dedicata tra genitore e figlio.

Un momento di totale presenza e partecipazione che aiuta a rinforzare la relazione e la sicurezza nel bambino.

Leggere per il proprio figlio è una occasione per stare insieme ed è un buon strumento di relazione.

E’ importante che il momento della lettura sia qualcosa di piacevole sia per l’adulto sia per il bambino. Insomma, un invito allettante per entrambi, senza obbligo né fatica!

Inoltre leggere una favola, una fiaba o un racconto ad un bambino aiuta a ricontattare il bambino che siamo stati e questo agevola una connessione emozionale ed affettiva tra il bambino che ascolta e il nostro bambino interiore.

Questo vuol dire che l’adulto è in totale presenza. E’ proprio lì mentre legge ed è a completa disposizione del bambino. Userà ogni strumento: la voce, il movimento spontaneo del corpo, le espressioni del viso, degli oggetti…

Leggere ai bambini riporta l’adulto in contatto con il mondo fantastico in cui i bambini sono immersi, un mondo di simboli e immagini colorate e fantastiche.

Un mondo-balsamo che, attraverso il gioco delle parole e dell’immaginazione, diventerà occasione di mille e mille viaggi insieme, mano nella mano.

Oggi è domenica!

Nella mia memoria la parola Domenica è associata al pranzo in famiglia.

Uno dei piatti della domenica erano le tagliatelle fatte in casa con il sugo (sono toscana e il ragù non era una parola conosciuta :-)).

Oggi sono vegetariana e il sugo per me è solo pomodoro e le tagliatelle una versione modificata, ma ricordo quanto fosse divertente farle a mano con mia nonna Olga e il suo rasagnolo (eh no nemmeno la parola mattarello esisteva nella mia lingua 🙂).

Per questo ho pensato di raccontarvi come si fanno, in modo che possiate passare del tempo in famiglia con i vostri figli giocando insieme a:

LE TAGLIATELLE DI NONNA PINA

 

OCCORRENTE:

  1. buona musica di sottofondo che da energia buona al vostro cibo; (se la fate con i vostri bambini piccoli potete cantare prima ”le tagliatelle di nonna Pina” e mettere allegria nelle vostre mani e in quella dei vostri bimbi;
  2. braccia forti o disponibili – o una macchina stendipasta;
  3. un rasagnolo e una spianatoia (anche il tavolo o la superficie di cucina se è piana e liscia);
  4. panuccia (mhm qual è la parola italiana? grembiule? parannanza?)
  5. farina
  6. uova (nella versione non vegetariana)

DOSE

1 uovo

100 gr di farina

… decidete voi quante uova e quanta farina…..

 

PROCEDIMENTO

  1. Su un tagliere grande (una spianatoia o una superficie piana di cucina) facciamo una fontana con la farina e aggiungiamo al centro tutte le uova;
  2.  Aiutandoci con le mani o con una forchetta, prendiamo delle piccole quantità di farina e mescolandola a poco a poco con le uova.
  3.  Quando tutta la farina sarà stata assorbita dalle uova, cominciamo impastando con le mani, spingendo l’impasto verso l’esterno con i polsi.
  4.  Continuiamo ad impastare per circa 6-7 fino a quando non avremo ottenuto una palla omogenea, liscia, morbida e leggermente elastica. Se avete l’impastatrice, fatelo con l’impastatrice;
  5.  Una volta pronto, dividiamo l’impasto in due o tre parti. Strofiniamo con un filo di olio.Copriamo l’impasto e lasciamolo riposare a temperatura ambiente per 30-60 minuti.
  6.  Passato questo tempo procediamo a formare le tagliatelle.
  7.  Stendiamo ogni pezzo con il mattarello, partendo dal centro, fino ad ottenere una sfoglia dello spessore di 1-2 mm circa.
  8.  Lasciamo asciugare le sfoglie così ottenute per 20-30 minuti in modo da poterle piegare senza che si spezzino perché troppo secche o che si attacchino perché troppo fresche.
  9.  Avvolgiamo la sfoglia su sé stessa senza stringerla.
  10.  Con un coltello affilato, tagliamola senza schiacciarla facendo delle strisce larghe circa 6-8 mm.
  11.  Srotoliamole e disponiamole su un vassoio ad asciugare

NOTE

Una volta fatte seccare, le tagliatelle si possono congelare e consumare entro 3-4 mesi.

In questo caso vi consiglio di disporle su un vassoio e congelarle. Una volta congelate, riporle in porzioni negli appositi sacchetti.

 

TAGLIATELLE DELLA NONNA PINA VEGANA, VEGETARIANA 🙂

DOSE 4 persone:

400 gr di semola di grano duro

250 ml di acqua tiepida

6 gr di sale

PROCEDIMENTO Lo stesso come sopra.

 

Foto free dal web.

Occorrente:
una tovaglia
dei cuscini
tovaglioli
posate
bicchieri
frittelle
biglietto fatto da te con gli auguri per Papà

Apparecchiare in terra in una stanza dove c’è una finestra e si vede il cielo o entra la Luce”!

Cucinare le frittelle di San Giuseppe per festeggiare il Babbo (come lo chiamo io)

Ingredienti
La mia nonna Olga le faceva ad occhio e valutava pesi, consistenze …. una vera maga 🙂 io ho più o meno azzeccato le dosi 🙂

Latte 500 ML
Zucchero 2 cucchiai
Farina 2 cucchiai
Riso 150 g
(mia nonna conosceva solo un tipo di Riso, il Riso :-). Voi fatele con il riso che avete)
Uova 2
Scorza di limone
Scorza d’arancia
Lievito per dolci 1 bustina
Sale 1 pizzico
Zucchero quanto basta per ricoprire le frittelle
Olio di semi per friggere

Frittelle di riso vegan
Per rendere vegan queste frittelle di riso basterà farle senza uova e sostituire il latte vaccino con uno a scelta tra avena, soia, riso o nocciola (o altro preferito), utilizzare della margarina non idrogenata o due cucchiai di olio d’oliva (o altro preferito) e sostituire l’uovo con mezza banana o con 50 ml di yogurt.

Preparazione
Mettere in una pentola riso, latte, zucchero e un pizzico di sale.
Fate cuocere per una ventina di minuti,mescolando spesso specialmente alla fine.
Lasciare raffreddare quindi il riso completamente;

Mentre il riso si raffredda, separiamo le uova: i rossi dai bianchi.
Montiamo le chiare d’uovo a neve.

Se il riso è freddo, uniamo al riso i tuorli, le scorze grattugiate di limone e arancia.
Mescoliamo.
Alla fine aggiungiamo la farina e il lievito.
Mescoliamo molto bene con forza e aggiungiamo le chiare montate a neve facendole ben assorbire all’impasto.
Preparate le frittelle con le mani o con due cucchiai!
Prendiamo una padella con i bordi alti, versiamo l’olio – 2 dita – e friggiamo le frittelle. L’olio deve essere caldo ma non troppo bollente altrimenti le frittelle scuriscono subito senza essere cotte all’interno.
Man mano che le frittelle sono cotte le togliamo dall’olio e le appoggiamo sulla carta assorbente.
Finito di friggerle tutte e dopo che si sono ben scolate dall’olio passiamo le frittelle di San Giuseppe nello zucchero semolato.

Poi prendi un biglietto e scrivi “tanti auguri Papà!”
…. e mi raccomando mandami le foto del tuo PICNIC e delle tue frittelle

 

 

Foto:Pixabay

RACCONTI DI COLLAGE

Crea il collage e scrivi il tuo racconto

 

OCCORRENTE:

  1. Tutti i giornali e riviste che hai in casa;
  2. Colla;
  3. 1 foglio grande o un cartone di uno scatola o più fogli bianchi della stampante da unire insieme;
  4. Ogni giocatore sfoglia i giornali e scegli un personaggio o due, un luogo (paesaggio, stanza…) e altre cose che lo colpiscono dal giornale, strappa le pagine e ritaglia quello che ha scelto;
  5. Tutte le pagine e i pezzi fanno parte della storia;
  6. Fate una conta per chi inizia;
  7. Chi vince la conta inizia;
  8. Guarda tutto quello che hai, lasciati ispirare dai colori e dalle cose che hai scelto e inizia a raccontare il primo pezzo del racconto. Quando senti di aver finito scegli il giocatore successivo e così si continua per ogni giocatore…
  9. Quando tutti hanno parlato, si cerca una chiusura della storia insieme;
  10. Si prende un foglio grande, si compone il collage e si mette il titolo 🙂

 

NB: Se siete solo due, ogni giocatore crea due storie 🙂

 

Alla fine inviami la tua foto del collage e se ti ricordi registra la tua storia così possiamo farla ascoltare ad altri bambini da 0 a 99 anni 🙂

 

Collage di Serena Falasconi Oelker dal titolo “L’Amour”

1.2.3 stella

Ci serve un pò di spazio (tipo corridoio o salotto).

1 persona comanda, le altre si dispongono in fila dietro di lui un pò lontane. 

Il comandante, che si mette di spalle, comanda ad alta voce “1-2-3 stella” e si gira. 

Le persone mentre lui comanda devono spostarsi in avanti o fare un movimento senza farsi beccare! Se il comandante ti becca, sei squalificato :-). Vinci il comandante, arriva a toccare la parete da cui comanda 🙂

Divertiti a giocare, a provarne uno e fammi sapere com’è andata? … e se hai un gioco da suggerire, scrivimi

In questi giorni, ho pensato spesso a come trascorrere il tempo.
Medito, leggo un libro, preparo dei progetti, scendo in giardino.

Eh si! ho un piccolo giardino e mi sento tanto fortunata in questo periodo.

Proprio mentre stavo in giardino, con la faccia al sole per ricaricare le batterie, sentivo la mia piccola vicina di casa Maddalena suonare l’arpa, mi sono teletrasportata ai miei 7 anni.
Cosa facevo in giardino? a cosa giocavo quando non avevo wii, playstation, sala giochi, pc, mac … ?

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