CIO’ CHE È ESPRESSO, È IMPRESSO

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

Se vi dicessi: 

CIO’ CHE È ESPRESSO, È IMPRESSO 

Quale sarebbe il vostro primo pensiero?

“Esprimere” dal latino exprimĕre: manifestare a parole i propri pensieri.

Ciò che esprimiamo a parole si fissa nella nostra mente, nel nostro spirito e nel nostro corpo.

Attraverso le parole che esprimo genero un’energia che si propaga in me ed intorno a me facendo “vibrare” anche chi mi circonda.

Diversamente resta solo un pensiero che circola nella testa come un cavallo indomabile.

Come qualcuno che ci continua a parlare all’orecchio senza averne il permesso.

Perché esprimendolo si fissa in noi?

Perché quest’azione rende “visibile” ai nostri occhi ciò che prima era inespresso, celato, implicito. Ci dona una nuova coscienza di quanto era nascosto dentro di noi.

E cosa ci consente di fare questo apparente semplice passaggio?

Di agire in maggiore “integrità” con noi stessi. 

Parliamo d’Integrità quando le tre dimensioni, quella relativa a ciò che penso, a ciò che dico ed a ciò che sento, sono perfettamente allineate in noi.

Del resto Socrate diceva anche: “La domanda è possibile quando la risposta è già presente”. 

Direi che questo completa meglio i benefici che si ottengono nel lasciare agire il nostro corpo liberamente (per esempio in uno spazio di rappresentazioni tridimensionali) perché sicuramente, se non forzato, esso manifesterà ciò che nel profondo sappiamo già di poter ammettere a noi stessi anche se a volte teniamo questa informazione celata dentro di noi perché abbiamo la percezione di dover rimanere leali al nostro sistema familiare.

Come posso scalare una montagna se prima non ne ammetto l’esistenza? 

Se prima non la “vedo” davanti a me?

E perché prima ne negavo l’esistenza? 

Nell’ammettere che quella montagna è davanti a noi, ci doniamo la possibilità di scegliere se e come scalarla, quale attrezzatura portare con noi, quali risorse mettere in campo per raggiungere la vetta. 

Vi è coerenza in ciò che manifesto verbalmente rispetto a ciò che agisco successivamente.

La vita è un viaggio alla scoperta di sé stessi e farlo restando coerenti con ciò che si sente, vedendo ciò che realmente è da una “finestra” di piena coscienza, esprimendo a sé stessi ciò che solitamente rimane celato in un cassetto della nostra anima, lo rende un viaggio ancora più affascinante.

Quando si dice una verità a voce alta poi bisogna affrontarla. 

Sarà forse per questo che spesso la si reprime?

E oggi la domanda è: sei pronto a dirtelo a voce alta?

LA PAROLA GENERATIVA … FINORA

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

La parola generativa: FINORA

Nella grammatica italiana finora è un avverbio di tempo la cui funzione è quella di accompagnarsi ad un verbo, un sostantivo, un aggettivo, un altro avverbio o a un’intera frase, modificandone o specificandone il significato.

Se la consideriamo da un punto di relazionale, sistemico e familiare questa capacità di modificare il significato della frase, si amplifica, assumendo una funzione generativa.

Quante volte il sistema di cui facciamo parte, familiare, professionale, sociale, ci attribuisce delle etichette che, alla lunga, pensiamo ci definiscano per chi siamo veramente?

“Tu sei sempre quello distratto”

“non fai mai nulla per…”

“sei sempre quello che…” 

“di te non ci si può fidare” 

e così via.

Etichette che associano a questi pensieri parole con un’accezione assolutistica come: “sempre”, “mai”.

E così, giorno dopo giorno, arriva il momento in cui guardandoci allo specchio pensiamo: 

“io sono distratto”

“io sono ignavo”

“io sono inaffidabile”

Il protrarsi di questo schema comportamentale fa sì che una conclusione basata su un input esterno e soggettivo, diventi una nostra CONVINZIONE LIMITANTE: se tutto il sistema mi dice che sono così, allora significa che sono proprio così!

Attenzione: ciò che pare essere, non è detto che sia ciò che realmente è!

Come si può provare a rimette al giusto posto le convinzioni limitanti?

Con la valorizzazione della parola FINORA.

“Io sono stato una persona distratta, finora.” 

“non ho mai fatto nulla, finora

“sono sempre stato quello che……finora

“sono stato una persona inaffidabile, finora

Che percezione vi risuona dentro? 

Sentite come la parola FINORA interrompe il circuito elettrico della mente che tiene accesa quella determinata convinzione limitante?

“Si, è vero, sono stato una persona inaffidabile FINORA.

Da domani posso scegliere di essere affidabile.”

Questa parola pone un paletto, un limite, una linea di demarcazione netta tra chi sono stato o chi mi hanno fatto credere di essere e, da quel momento in poi, la persona che posso scegliere di essere grazie alla presa di coscienza della mia vera natura.

È la porta che ci apre nuovi scenari evolutivi, percettivi e cognitivi di noi stessi.

Ed allora forse la domanda funzionale è: chi scelgo di essere da oggi in poi?

COMPRENDERE E CAPIRE: C’E’ DIFFERENZA?

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

COME SI FA A COMPRENDERE SENZA CAPIRE?

C’è una forza che guida verso il Capire ed una verso il Comprendere.
Questo nonostante l’umanità si basi abitualmente sul pensiero cartesiano = COGITO ERGO SUM.

Partiamo da due semplici concetti:
La teoria è orientata al CAPIRE e riguarda la dimensione del Fare che si trova nella Mente.
Ad un dubbio che si ha, si pone una domanda facendo propria la risposta del nostro interlocutore. Ok, abbiamo Capito.
In questo modo il dubbio che tiene viva la curiosità, svanisce e con quello la ricerca della risposta stessa.

L’esperienza è orientata al COMPRENDERE e riguarda la dimensione dell’Essere che si trova nel Corpo.
Al dubbio che si ha, si trova la risposta da sé ed in sé attraverso l’esperienza che personalmente si fa. Ok, ho Compreso.

Semplicemente vivendo ed ascoltandosi, mantenendo così viva la curiosità di scoprire da sé ciò che la vita ha da insegnare.
E questo può accadere quando un genitore risponde umilmente al figlio “non lo so”.
Risposta rara e preziosa al tempo stesso.
Cosa lo spaventa tanto nel dare una simile risposta?

Spesso i genitori pensano di avere la risposta giusta per far capire le cose ai loro figli, dissipare ogni loro dubbio, incertezza. Non si rendono conto, invece, che così facendo gli passano la loro esperienza di vita al posto di lasciarli liberi di fare la propria.

A volte, peggio ancora, vietano.

Perché vietare ai figli di fare qualcosa equivale a toglierli l’opportunità di vivere
quell’esperienza diretta di vita in cui trovare le risposte che cercano.
Come mai vietano ai loro figli di fare qualcosa?

Cosa temono nel permettergli di farlo?

Cosa pensano gli possa sfuggire di mano?

Ricordiamo che un fondamento della sistemica è il concetto “Nessuno Escluso” ed inquesto caso intendiamo che non è esclusa nemmeno la mente.

A volte nella vita si presentano situazioni nelle quali è necessario Capire.

Altre volte lo è Comprendere.

Entrambe le attitudini sono necessarie se vogliamo vivere a pieno il nostro essere.

E allora forse oggi la domanda da porsi è:
Quale abilità genitoriale bisogna che alleni per permettere a mio figlio di Comprendere?

La falce di Saturno

Riflessione Scritta da Caterina Forti, coach e parentAbiliter.

 

 

“L’anima ha bisogno di ricordare che l’assenza non è assenza” (cit Massimiliano Babusci)

 

Nella mitologia romana, Saturno, antico dio latino, era rappresentato come un vecchio con la barba, vestito con un mantello e con in mano una falce. Ai piedi indossava lacci di lana, detti compedes che contraddistinguevano gli schiavi.

Questa caratteristica richiamava il culto del dio, quando in occasione delle sue festività, i Saturnalia celebrate dal 17 dicembre, gli schiavi potevano vivere in piena libertà, banchettando con i loro padroni che li servivano.

Con una certa leggerezza dei costumi, erano consentiti eccessi e trasgressioni, danze, giochi d’azzardo, feste, spettacoli, ma  anche  scambio di doni, accensione di ceri e sontuose cerimonie. In questo periodo i tribunali e le scuole erano chiuse, erano vietate le esecuzioni capitali e partecipare a  guerre e qualsiasi attività al di fuori dei festeggiamenti del Natale del sole che rinasce dopo la sua morte simbolica.

Dunque, le festività di Saturno ricorrevano a fine anno allo scopo di lasciar andare il vecchio , rompendo ogni regola per rigenerarsi nel nuovo, che iniziava sotto Ianuarius, posto sotto la protezione di Giano, dio dell’inizio.

Un’infinita sequenza di nascita, vita, morte.

Omologo del titano greco Crono, Saturno è il signore del Tempo.  Ogni ciclo vitale che si affaccia nella materia è destinato a concludersi. La sua falce recide inaspettatamente i fili invisibili dei legami, dei rapporti, delle relazioni, in maniera definitiva.

 

 

 

Una croce unita ad una falce. “ Con la croce fissa e stabilizza, con la falce taglia e separa.(…) Sono i punti chiave di Saturno. La falce, come la clessidra e la croce, è simbolo di morte”( fonte il Web).

“Ecco cosa accade quando subiamo una perdita. Se il nostro sguardo indugia su quella perdita, questa è perduta per sempre. La guardiamo consumarsi e quando anche l’ultima fiamma si spegne, restiamo a fissare la fuliggine.” Bert Hellinger

Tutto ciò che nasce, muore, dando luogo a distacchi e separazione.

Cosi come  Saturno scandisce  l’inizio e la fine di una situazione in termini temporali, la visione sistemica osserva la nascita e la morte  all’interno di un sistema, dal principio alla conclusione della vita terrena.

Quando una persona manca, l’intero sistema familiare sperimenta l’assenza.  Viene meno la vita e il ruolo all’interno della famiglia e i  propri componenti si trovano ad affrontare il dolore del vuoto.

Il congiunto è ricordato al passato, in un tempo che non è più e questo produce di fatto, l’esclusione dal sistema. E’ assente fisicamente, quindi non ne fa più parte.

Eppure, quando una persona entra, nascendo, in una famiglia le appartiene per tutta la vita anche dopo la morte, perché una delle regole fondamentali della sistemica sancisce “il nessuno escluso”.

Neanche la morte può essere esclusa.

E quando il dolore scompare, per il defunto c’è solo amore, perché il dolore cela quella parte di noi che ama e sa amare.

Dall’origine della vita sulla terra ogni sistema ha saputo adattarsi ad ostacoli e cambiamenti, per la sua  sopravvivenza e per la sua stessa continuità. Ha visto la nascita e la morte di ogni componente, con amore ha omaggiato la vita nei suoi cicli, perché essa funziona così.

La falce di Saturno arriva quando il tempo è compiuto: ogni vita nella sua forma animale, vegetale, minerale,ogni relazione interpersonale ha il suo destino. E riguarda tutti gli ambiti sociali dal lavoro alle amicizie, dal legame amoroso al contesto scolastico-formativo. Anche i periodi più duri e difficili hanno nel loro destino l’epilogo.

Ciascuno di essi ha un tempo da vivere prima del punto finale. Uno scrittore sa bene che per creare un capolavoro ha bisogno di concluderlo.

Accettare la morte per celebrare la vita:  il modo migliore per farlo è riconoscere il valore che quella persona giunta alla fine del suo ciclo ha dato al suo sistema e ai suoi componenti.

Nulla va sprecato,chi se ne va resta nel sangue e nelle memorie cellulari dei suoi “piccoli” in maniera perpetua e infinita.

Ogni porta che si chiude consente ad un’altra di aprirsi: la vita non fa mai passi indietro, procede sempre verso il nuovo.

L’anima ha bisogno di riportare allo spazio del cuore che l’assenza non è assenza.

Quando il potente signore del tempo alza la sua falce sul percorso vitale di un componente del sistema, i congiungi hanno il diritto di vivere il loro dolore.

Chiunque, se pur mosso da compassione, provi ad impedire o bloccare il flusso di questa emozione si arroga  un diritto che non gli appartiene perché la persona ha bisogno di quel sentire per attraversare un tempo difficile. E’ il passaggio fondamentale per ricongiungersi al suo essere amore, per se stesso e per il suo intero sistema. Per questo merita rispetto.

Nessuno escluso.

“In ogni istante qualcosa va perduto. È passato per sempre. È passato perché è già arrivato il presente che a sua volta, dal punto di vista del tempo, cede il posto, come una perdita, a ciò che verrà.” Bert Hellinger

Genitori Ego-Isti o Ego-Riferiti?

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Life – Coach Sistemico, Coordinatore Genitoriale

 

Oggi condivido la mia riflessione Sistemica partendo da una domanda:

La genitorialità croce o delizia?

Sono mamma di un ragazzo di 12 anni.

Il grosso cambiamento che ho attuato anche grazie alla sistemica è stato quello di riuscire a lasciare che mio figlio avesse il suo spazio evolutivo, permettendogli di essere sé stesso, di essere libero di sperimentare, di conoscere le sue potenzialità ed i suoi talenti, i suoi punti di forza e di entrare in contatto profondamente con le sue emozioni e i suoi sentimenti.

Come?

Scegliendo di essere una mamma Ego-ista.

Associare questo concetto alla genitorialità può sembrare alquanto curioso.

Solitamente associamo l’essere Ego-ista al non curarsi dei bisogni degli altri.

Il concetto di CURARE indica proprio il “prendersi cura di qualcuno.

Ed allora come possiamo prenderci cura dei nostri figli comportandoci da genitori egoisti?

Partiamo dal concetto dell’essere Ego-Riferito inteso come: cosa voglio per me?

Se stiamo bene noi, al nostro giusto posto di adulti e genitori, tutto il nostro sistema ne beneficia.

Questo agire ci rende liberi, dando un vero e proprio esempio di vita ai nostri figli.

L’esempio di poter scegliere liberamente ciò che vogliamo per noi anziché ciò che si aspettano le persone che fanno parte della nostra quotidianità.

Facciamo capire ai nostri figli che anche loro possono avere uno spazio libero di evoluzione imparando a loro volta ad essere Ego-isti = Ego-Riferiti domandandosi a loro volta “Cosa voglio per me?”.

Lasciargli così il giusto spazio di crescita facendogli tuttavia sentire quella vibrazione genitoriale che dice: IO PER TE CI SONO.

Essere un modello di vita, un modello evolutivo.

C’è un insegnamento che si dà senza le parole: si chiama esempio.

E allora mi domando:

Si può far percepire la propria presenza genitoriale stando in silenzio, osservando da lontano?

Si può essere genitore in una dimensione di Silenziosa Presenza?

L’Amore si trasforma

a cura della dott.ssa Marta Badella

parentAbiliter, Coordinatore Genitoriale

 

Nelle precedenti riflessioni mi avete sentito citare spesso l’espressione “flusso di amore all’interno del nostro sistema”.

Questo è l’aspetto sul quale oggi desidero condividere con voi le mie riflessioni.

Se finora ho parlato di Amore nell’accezione più ampia del termine, oggi ne parlerò nella sua accezione più nota: quella Romantica.
Quella che abitualmente associamo al rapporto di coppia. 

In fisica esiste il concetto di Risonanza.

Questa avviene quando due campi energetici di uguale intensità e frequenza si incontrano.
In sistemica si parla di RISONANZA quando elementi sulla stessa frequenza energetica, si attraggono. 

L’esperienza che ho maturato finora nella mia vita, mi ha portato a prendere coscienza, in modo chiaro, di due aspetti di questo tipo di Amore:
• l’amore finisce
• l’amore non basta

Tuttavia, dopo essere entrata nel meraviglioso mondo della sistemica e grazie ad essa, ho riformulato il primo:
l’amore si Trasforma 


Userò una metafora per essere più chiara:

Quando si accende una candela magari all’inizio fatica a “carburare”, così come succede all’Amore.

Ma quando comincia a bruciare, comincia ad incidere l’interno della sua struttura, andando all’Essenza di sé, iniziando così a splendere, senza far fumo, ed è bellissima.

Emana calore nella sua luminosità. Si resterebbe lì a guardarla per ore.

T’innamori di quello spettacolo.

Poi piano piano, se la si osserva attentamente, ci si accorge che man mano che lei ama (perché se una candela fosse assimilabile all’Amore, ciò che farebbe invece di bruciare sarebbe Amare), si trasforma.

Prima era cera: una parte si dissolve in fumo ed una parte si scioglie e ci viene restituita sotto forma di luce e calore.

Guardando per terra verrebbe da dire: “cos’è quella cosa lì?” 

Quella è la cera che si trasforma in altro.

Alla fine non c’è più una candela accesa e per questo si potrebbe pensare “Allora non ama più!” 

Non è così.

Semplicemente mentre bruciava ha plasmato, con la sua cera, la base di quello che serve per consolidare il processo di trasformazione. 

Semplicemente si è trasformata in altro.

Continua ad esistere, ma in un’altra forma.

Il secondo concetto, l’amore non basta, rimanda a due aspetti:

• al nostro sistema famiglia di origine

• alla diversità di valori e di progetti di vita

Il primo rimanda al concetto sistemico espresso nel precedente articolo, Essere fuori Posto

Ricordiamo che ciò accade quando un piccolo si comporta da grande.

E se un piccolo si comporta da grande è perché qualche grande glielo permette. 

Quando si finisce “fuori posto” da piccoli, spesso si tenderà quindi a non riconoscere il proprio posto. 

Ed in questo caso specifico intendiamo il proprio posto nella dimensione di Amore.

Questo comporta che nelle relazioni tra adulti, tra pari, si possano vivere grandi innamoramenti e poi grandi delusioni piuttosto che alternare il prevaricare all’essere prevaricato, l’appoggiarsi al sostenere. 

Dunque, comporta vivere rapporti non in equilibrio e faticosi da coltivare.

Solo chi è al “giusto posto” può amare con leggerezza.

Quel “giusto posto” che la Vita ti assegna cronologicamente.

Il secondo invece prende forma quando, seppur pervasi da quell’Amore romantico che ci viene tramandato sin da piccoli, prevale l’esperienza maturata nella vita.

Quell’esperienza che modifica la nostra scala valoriale così profondamente da impedire progetti di vita simili, tra noi e la persona destinataria del nostro Amore. 

Valori come l’Amore, l’Amicizia, la Famiglia, il Denaro, il Lavoro.

Valori che iniziano semplicemente a differire così che l’Amore dell’Universo non basta a tenere unite quelle due anime.

Grazie alla sistemica, ho compreso che anche quando ciò avviene, possiamo comunque scegliere di vivere a pieno la dimensione di Amore Puro.

Quello che è intorno a noi, in ogni cosa che ci circonda.

Come?

Un’osservazione sistemica è quella secondo la quale esistono tre dimensioni.

Se vissute tutte e tre in modo completo, allineandole in noi stessi, portano a godere a pieno di questa dimensione totale di Amore.
Le tre dimensioni sono:
• Mente
• Corpo
• Anima,Spirito

Immaginatevi l’incontro tra due persone:
Come stai? Bene  MENTE
Bene dove? Nella pancia  CORPO
E cosa senti lì? Calore  SPIRITO
Ed ora immaginate il gioco della settimana enigmistica in cui si uniscono i puntini numerati.
Immaginatevi di unire queste tre dimensioni come se steste unendo i puntini.
Scoprirete così che la vibrazione che sentirete in voi, vi permetterà di percepire tutto ciò che vi circonda, tutte le varie sfumature delle situazioni che vivete, in modo così potente da riuscire a sentire interiormente SE e COME quella data cosa vi risuona, in quale parte del vostro corpo, con quale intensità.

E se sentirete quella vibrazione, allora significherà che siete sulla giusta strada per accogliere la dimensione di Amore Puro, restando in linea con il vostro sentire.

Accogliendo anche quell’Amore Romantico che si trasforma e che a volte non basta.

Allora forse oggi la domanda è: scelgo comunque che sia un mio valore? 

Essere o non Essere al Giusto Posto?

a cura della dott.ssa Marta Badella
parentAbiliter, Coordinatore Genitoriale

 

Quando una persona sceglie di approcciarsi alla Sistemica, attraverso l’incontro con un professionista, probabilmente sente dentro di sé che qualcosa è fuori posto percependo così il bisogno ed il desiderio di mettere ordine nella sua vita.

Quello che insegna l’approccio Sistemico-Relazionale è che quel “qualcosa fuori posto” molto probabilmente siamo noi nel nostro Sistema familiare d’origine.

Sistema inteso come un insieme di elementi in relazione tra loro.

Cosa significa, allora, essere “Fuori Posto?”

Significa aver smesso di essere al Giusto Posto in quel Sistema, quello nel quale nasciamo per Amore dei nostri genitori.

Abbiamo il diritto di vivere la nostra vita come scegliamo e prima la dobbiamo ricevere dai ns genitori.

Al momento della nascita siamo “completi”, non ci manca nulla e siamo al Giusto Posto.

Attraverso la Sistemica riconosciamo che successivamente, crescendo, spesso escludiamo delle parti di noi, dei membri del nostro Sistema Famiglia, che sono invece indispensabili per restare in quel Giusto Posto originario. 

Uno dei fondamenti della Sistemica, infatti, è NESSUN ESCLUSO dai sistemi familiari

E cosa significa? 

Significa che non si può escludere nessuno a meno che non siamo disposti a pagarne un prezzo. 

Questo prezzo spesso passa attraverso la disarmonia, la sofferenza di altri elementi del sistema, di solito i più piccoli, gli ultimi arrivati.

Ci si potrebbe chiedere: “Quale beneficio avrò nel tornare al Giusto Posto?” 

La Sistemica ti risponde: “L’enorme beneficio di lasciare liberi noi stessi e, in caso, i nostri piccoli e quello di far fluire nuovamente l’energia vitale d’Amore nel tuo Sistema”. 

Si comprende così come spesso andiamo fuori posto perché qualcuno prima di noi ha provato a smettere di amare, interrompendo così quell’energia che permette ai sistemi di essere adattivi, di evolvere nel loro destino. 

Qualcuno per esempio come la nonna, la mamma, un caro il cui spirito ha abbandonato il corpo. 

Spesso vengono viste come delle esclusioni per non volerne sentire il dolore.

Ed è così, allora, che inizia un percorso di sofferenza.

Sofferenza intesa come la distanza tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse. 

Anche per questo spesso serve avere un diverso livello di coscienza.

Perché è con la consapevolezza che si può essere risvegliati alla realtà che invece tendiamo ad interpretare

Il professionista che utilizza un approccio Sistemico-Relazionale offre un percorso evolutivo nel quale acquisire gli strumenti necessari per tornare al “Giusto Posto”, percependo così un nuovo ordine nella nostra vita: un’omeostasi sistemica

E come ci riesce? 

Attraverso la rappresentazione sistemica, tridimensionale che utilizza, ci permette di vedere ciò che, dentro di noi, per molto tempo è rimasto nascosto ai nostri occhi a volte anche alla nostra mente, rendendolo invisibile.

Ma in realtà è sempre stato lì. 

Lo avevamo semplicemente rimosso, dimenticato.

Il Professionista Sistemico ci educa, nel senso originario del termine latino di educĕre: trarre fuori, allevare. 

Ci mette nella condizione di tirare fuori le nostre abilità personali e genitoriali, che da sempre sono presenti in noi, ma sino a quel momento rimaste inespresse.

L’opposto del concetto latino di insĭgnare: imprimere segni nella mente, nel senso di “mettere dentro” a qualcuno la nostra idea, il nostro punto di vista, la nostra personale interpretazione.

La visione sistemica non contempla il concetto di giusto o sbagliato, meglio o peggio.

Piuttosto porta a domandarci se ciò che si osserva è funzionale o disfunzionale alle capacità adattive del Sistema stesso.

Ed anche i ruoli che vi rappresentiamo ci possono aiutare a distinguere ciò che si è da ciò che si interpreta. 

 “Non si può vivere e non evolvere” come sosteneva Darwin.

Ed in questa dimensione, ci rendiamo conto che spesso utilizziamo l’espressione “Io Sono” radicando ancora di più in noi la convinzione di essere ciò che il nostro Sistema Famiglia ci ha insegnato per il solo fatto di appartenere a quel Sistema.

E per questo magari siamo andati fuori posto

Ricordiamoci:” perché un piccolo finisca fuori posto deve esserci almeno un grande consenziente”.

Concludo questa prima tappa del nostro viaggio alla scoperta della Sistemica con una riflessione:

Forse per tornare al Giusto Posto è sufficiente costruire la nuova strada utilizzando tutti i materiali che da sempre abbiamo a disposizione. Nessuno escluso. 

 

Non sei abbastanza, non fai abbastanza
di Prem Siri K.K.

 

Mi sento molto stanca, a tratti sopraffatta e inondata da un profondo senso di insoddisfazione.

Osservo la mia vita, cosa faccio e mi dico “Dai, non hai motivo per sentirti così, che succede?”.

Mi fermo e l’unica risposta che arriva è “non lo so!”.

Quindi come spesso faccio, chiamo Max e gli chiedo di aiutarmi a comprendere e vedere ciò che non riesco. Inizio a raccontare, lui mi ascolta e poi mi chiede:”quando è successo la prima volta?” … una domanda che mi lascia perplessa e mi spinge a chiedere: “ quando è successo cosa?” … lui :” quando hai iniziato a cercare di fare felici i tuoi genitori?”

Mi manca il fiato appena sento quelle parole, poi lo stomaco si alleggerisce e sorrido di tenerezza per me, perché sento la fatica di questa impresa: un monte da scalare, senza arrivare mai alla cima. Una traguardo inesistente, che è tale proprio perché nessun figlio deve rendere felici i genitori. Non è il loro compito, non è il loro destino.

Questa impresa ha un impatto in tutta la mia vita, nel lavoro, nelle relazioni, nei miei progetti … come avere un buco in cui entra il meglio di me e si disperde, portandomi alla stanchezza, all’esaurimento e a non mettere energia in ciò che veramente può fiorire e prosperare.

Come fare? Max mi invita a sentire come è riconoscere questa verità e poi mi fa fare un esercizio sistemico. I miei genitori sono davanti a me, li guardo e gli dico: “ Ci ho provato, ce l’ho messa davvero tutta, ho dato il massimo, ma per me è troppo, voi siete grandi e io piccola”. Pensavo fosse più dura, nel reame delle azioni invece ho sentito dolore al cuore e tanta leggerezza.

Spesso quando si è piccoli e ci viene chiesto di dare invece di ricevere, tipicamente amore e attenzioni che chi è grande di norma dona ai suoi piccoli, si risponde inventandosi varie strategie per fare felici i nostri genitori pur non avendo alcuna idea di come fare. Diventiamo bravissimi a dare, dare e dare ancora e spesso l’effetto collaterale è che non ci sembra mai di aver fatto abbastanza!

Ma un piccolo non può dare ad un grande ciò che il grande può solo scambiare con i suoi pari, così si finisce fuori posto, ci si stanca per accorgersi prima o poi che un piccolo non può fare felice un grande, almeno non in questo modo.

Sono passati alcuni giorni da quando ho fatto l’esercizio ed è successa una cosa importante: sono diventata maggiorenne!

La notte del 18° anniversario della morte di mio padre, ho fatto un sogno. Un sogno che aveva un sapore di guarigione. Ho sognato mio padre, eravamo nella nostra casa, quella dove sono cresciuta. Mio padre era al tavolo e parlava con Max. Max era venuto da un viaggio lontano e aveva portato con se un regalo: un gruppo di artisti che hanno organizzato una festa, una parata: c’era allegria, c’era musica, c’era leggerezza, c’era felicità!

Al mio risveglio, ho sentito mio padre al mio fianco, erano 18 anni che non l’ho sentivo con la sua forza, la sua leggerezza, la sua allegria, la sua ironia, la sua curiosità … doni e tesori che sono anche miei.

Grazie per la vita, è tanto ed è abbastanza, proverò a farne qualcosa di buono!

Stare con se stessi è il modo per prepararsi ad incontrare l’altro.

Riflessione scritta da Caterina Forti.

 

“Cosa vuoi Vivian ? Voglio la favola!

“Edward, mi aspetto che tu diventi il principe azzurro. Mi aspetto che tu colmi quel vuoto affettivo che non ho percepito quando ero piccola.
Ho ben chiaro come voglio essere amata. Come una bambina. Voglio che tu abbia sufficiente amore per entrambi.Voglio che tu faccia ordine nel mio disordine percettivo. Dammi la favola. Tu sei il principe che salva la principessa. Perché quando una piccolina è in difficoltà cerca sempre il papà eroe che la salvi”.

Edward e Vivian sono due adulti, due pari, si rapportano come coppia. Il loro compito è amarsi dando e ricevendo equamente. E’ l’unica relazione possibile, all’interno di qualsiasi sistema. Nella misura in cui si crei equilibrio nello scambio, è fondamentale che entrambi abbiamo ricevuto il giusto quantitativo di amore da parte del sistema di origine, la famiglia.

Eppure la storia di Vivian rivela la distorsione cognitiva propria di chi, dal suo sistema familiare non ha percepito il giusto amore e il naturale riconoscimento del suo essere piccola di fronte ai suoi adulti genitori.

L’unico ruolo di ogni Vivian, bambina o bambino che sia, è essere figlia. Perché anche crescendo i suoi genitori saranno sempre adulti e lei resterà piccola.
Vivian, per qualsivoglia ragione ha smesso di essere figlia: le è stata assegnata la responsabilità essere grande quando avrebbe dovuto continuare a giocare ed ricevere amore.

In età adulta, carente del bagno d’amore lo schema distorto si ripete.
Ed ecco che Vivian chiede ad Edward di sostituirsi all’adulto padre affinchè la ami come una principessa, perché ha ben chiaro come vuole essere amata.
Ma anche Edward ha il suo vissuto ed è egli stesso figlio di un sistema.
Se fosse mia cliente, chiederei a Vivian di fissare il suo obiettivo, considerando il punto di partenza.

Dove sei Vivian? Solo tu hai la facoltà di stabile e individuare i tuoi confini.

Citando Socrate, Io posso solo farti pensare.

Prendi contatto con il tuo universo personale, originale, unico e ascoltati. Percepisci il corpo, ascolta la mente e scendi nel profondo della tua interiorità. Cerca la tua anima.
Scegli la solitudine come unica relazione possibile, per fare il punto della situazione. Non escludere nulla, neanche i pensieri più distorti e contorti. Anche loro hanno diritto di esistere.
Poi crea il vuoto, lasciando andare ciò che non ti serve più, perché hai dato abbastanza. Creare il vuoto significa prepararsi a ricevere nuovi gesti, nuove parole, nuovi pensieri.
Traccia dunque la tua rotta, per definire cosa ti appartiene,cosa risuona nella tua multidimensionalità.

Vuoi essere vista?

Rivolgiti a te stessa e ripeti Vivian, io ti vedo, finalmente ti vedo.

Sii tu la prima a vederti.

Vuoi l’amore? Diventa tu amore e vibra in questa frequenza, chiedendoti in quale altro modo sei disposta ad approcciare a te stessa per dare e ricevere amore. Guarda l’altro senza preconcetti o aspettative di alcun genere, con la curiosità del principiante. In apertura.

Tu sei fatta di amore. Respira, chiudi gli occhi, vibra nel momento presente.
Stare con se stessi è il modo per predisporsi a incontrare l’altro.

Pretty Woman contestualizza la mia sessione privata con Max. Lo faccio attraverso la personale inclinazione a esprimere i contenuti tramite le storytelling. Concludo con una storia, letta nel web, che racconta più o meno così:
“Tieni stretto tuo figlio fino a che le braccia non faranno male. Riempi di baci tuo figlio fino a che la sua pelle non diventi rossa. Colma d’amore tuo figlio, in modo che, crescendo, abbia fatto quel pieno che lo farà vivere , non come un bisognoso d’affetto, ma come una celebrazione dell’amore stesso”.

 

PRENDERE COSCIENZA DELLE COSE CHE HANNO SENSO per ME

Puoi spiegarmi cosa mi porta a credere che per stare in relazione, che sia lavoro, amicizia o altro, ci si debba sacrificare, portare pazienza, assecondare umori altalenanti e così via?
Da dove nasce questo caos e, ancora meglio, come posso uscire da questa dinamica confusa ?

Max, parte spesso da una spiegazione che accontenta prima la parte destra del mio cervello, quella razionale, per poi accompagnarmi all’ascolto delle intuizioni e delle verità che vengono da dentro.

E’ una modalità efficace che mi permette di comprendere l’importanza di un processo che è il cambiamento, la crescita, l’evoluzione o semplicemente prendere Coscienza delle cose che hanno senso per me. Aiuta avere la conferma che è giusto sentirsi a disagio quando frequentiamo ancora vecchie abitudini e nel contempo ci sforziamo di introdurne delle nuove.

“E’ come quando vuoi infilare una nuova poltrona in un piccolo salotto, ma ancora non hai buttato quella vecchia sei in un processo dove cerchi di incastrare due elementi in uno spazio ridotto”.

Incredibile il parallelismo!

Nella mia professione di architetto è esattamente quello che chiedo costantemente al mio cliente: per accogliere il nuovo è necessario fare spazio, ringraziando e lasciando andare il vecchio, che ora non è più utile! Quindi questo vale anche per le abitudini: per poter familiarizzare con una nuova abitudine, è prioritario dismettere quelle non più utili.
Può aiutare sapere che certi schemi potremmo averli ereditati e frequentati per anni. Esempio di uno schema familiare per me: “Non è il momento, aspetta ancora, porta pazienza!”

“Essere fuori posto sistemico (*) ti porta a cercare il consenso fuori da te. Spesso, quando si è piccoli e con poche risorse ed esperienze, dover svolgere compiti da grandi e non avendo una chiara percezione della validità del risultato, si sviluppa una certa tendenza a cercare le risposte fuori da noi, dai nostri grandi appunto e poi pian piano anche da altri elementi del contesto. Nella mia esperienza, il risultato è ciò che ti corrisponde, non sentirti dire BRAVA!”.

Quando non mi ascolto, dimentico me, non rispetto il mio sentire e facilmente mi ritrovo a non rispettare neppure l’altro. La mancanza di rispetto si manifesta come possibile risultato del dimenticarsi si se.
Faccio caso all’effetto che queste parole hanno nel mio corpo. Più spesso è la mente che tiene il controllo e sono i pensieri a guidare le mie azioni.

Arriva uno sbuffo, Max mi fa notare che sembro stanca.

In effetti è incredibile, sono anni che mi sono state svelate buone abitudini che mi rendono disponibile a ricevere nuovi e sani atteggiamenti. Tuttavia non basta sapere! E’ necessario esercitare costantemente: solo la pratica affina la capacità di rimanere in ascolto di me.

“Comprendere è molto diverso dal capire”, sottolinea Max.

Imparare ad ascoltare le verità che mi vengono da dentro, sospendere il giudizio con il mondo esterno, fidarmi del mio corpo, poiché riconosce, in ogni istante, cosa è meglio per me.

Come posso fare qualcosa di pratico per ricordare?

Max mi rammenta uno splendido esercizio da fare per licenziare le mie vecchie abitudini: “dallo spazio del cuore, invitale e ringraziale, fai un inchino, dichiara che sono state importanti per te, che hanno un gran posto nel tuo cuore, ti hanno permesso di arrivare fin qui, ora hai altre sfide da affrontare, hai bisogno di altri modi di agire e di relazionarti. Tu e il tuo sistema avete il bisogno di seguire l’evoluzione che siamo e migliori compagnie da frequentare; non escluderle ma accompagnale, gentilmente, ai margini dei tuoi confini abitudinali e relazionali, fuori dalla porta ”… “Lascia fare al corpo ciò che la testa ancora non sa, sospendi, se puoi, l’energia che dedichi a confrontare e dedurre fuori da te, con il resto del mondo e valorizza gli strumenti che hai”…“Rimani con quel sorriso, attrae bellezza, gioia, entusiasmo e disponibilità. Ricorda che l’accoglienza è un passo fondamentale della trasformazione”.

Grazie Max! Grazie!

Riflessione Scritta da Cristina Farina, architetto, professionista olistico, parentAbiliter.

(*) fuori posto sistemico è colui che cerca di comportarsi da “grande” essendo “piccolo” (i.e.: un figlio a cui viene accordata la possibilità di elevarsi a ruolo di genitore, intromettendosi in questioni che riguardano i suoi “grandi”)

Articolo scritto da Prem Siri K. K.

Alcuni giorni fa ho sentito la necessità di parlare con Massimiliano di questa mia sensazione di disagio, stanchezza, fastidio provata all’interno di una dinamica di relazione.

Una relazione con persone che amo e stimo, che indipendentemente da questo, mi faceva sentire un po frustrata, inadatta e tutta una serie di aggettivi che comunque rimandano al non sentirsi e al sentire che qualcosa non era allineato nel profondo con chi sento di essere.

Nonostante l’entusiasmo di sviluppare progetti e collaborare con persone così importanti per me, sentivo l’assoluta pesantezza e il blocco dell’energia a livello dello stomaco. Se provavo a cambiare posizione fisica, uscivo dal pensiero, sentivo subito il mio respiro che si apriva, il calore nel corpo e la vitalità che riprendevano il loro flusso completamente.

Max dice con assoluta semplicità: “ Prova ad osservare se ti senti fuori posto sistemico”, il posto che occupi all’interno della relazione non è quello giusto che dovresti occupare. “Ciò che trasmetti, sentendoti parlare è che non sembra una relazione tra pari, tra adulti intendo”.

Mi blocco, mi irrigidisco, lascio entrare le sue parole poi faccio un grande respiro di cuore, di petto e sento l’espansione. Il seme della nuova realtà si è radicato.

Lo Ri-conosco è così, sono fuori posto ed è una mia tendenza che nasce forse anche prima della mia famiglia di origine.

“A volte i genitori, pur essendo grandi e avendo dato la Vita, chiedono qualcosa ai propri figli. Sostegno, comprensione, a volte amore e i piccoli non vedono l’ora di aiutare i loro grandi, così spesso si finisce “fuori posto”, sistemicamente parlando. Questo ci apre una strada di possibili repliche nella nostra vita relazionale e sentimentale”.

Nelle relazioni, tolte quelle con i genitori in cui non si è mai tra pari – cioè i grandi danno e i piccoli ricevono – tipicamente la vita – nelle altre pur rispettando il ruolo che ognuno di noi riveste, si è tra pari – cioè tra adulti. Non è funzionale replicare comportamenti genitoriali.

Cosa accade quando si è al proprio “giusto posto sistemico”?

Quali sono i benefici? quali sono gli effetti collaterali?

La prima osservazione è che se sei al tuo giusto posto sistemico, da grande, da adulto, non ti presti a permettere a chi è in relazione con te di essere piccolo, tranne ai tuoi eventuali figli ovviamente.

Il primo beneficio è che tendi ad essere presente, a contribuire alla relazione, qualsiasi essa sia, in modo paritetico, equilibrando ciò che dai con ciò che ricevi ed eviti di essere in richiesta, smetti di desiderare di essere “visto” nel tuo ruolo, insomma inizi a smettere di frequentare l’idea che qualcuno debba riconoscerti e metti veramente in gioco il tuo potenziale.

Uno degli effetti collaterali per me è stato l’osservare anche con altri occhi il tema sempre più complesso del rapporto tra autorità e autorevolezza.

Più sei al tuo posto più riconosci l’autorità, spesso te ne distanzi e agisci con autorevolezza, cioè offri agli altri il meglio che hai da offrire senza la necessità di imporlo.

Altro effetto collaterale fantastico, smetti di comportarti come quando, da bambino fuori posto dovevi prendere decisioni o atteggiamenti che non erano fondati sull’esperienza, ma semplicemente sul dover agire perché un grande te lo aveva chiesto…..e di certo aveva poca autorevolezza.

Una persone autorevole non ha bisogno di contestualizzare costantemente il proprio ruolo nella relazione, semplicemente occupando il giusto posto, in allineamento con tutto il suo essere fisico, mentale e spirituale, la sua autorevolezza viene automaticamente riconosciuta e si manifesta.

Autorità e autorevolezza …

Nella mia esperienza l’autorità nasce dalla insicurezza e dalla voglia costante di essere riconosciuti per ciò che si fa e si è all’interno dei vari sistemi, l’autorevolezza non ha bisogno di conferme poiché viene dall’assoluta certezza di occupare il giusto posto e di avere le competenze, qualità e risorse per farlo.

“L’autorità si genera nella testa, l’autorevolezza la riconosci nel corpo”

cit. Massimiliano Babusci

Articolo scritto da Cristina Farina

Il mio percorso di Vita mi ha portata a conoscere la sistemica e le costellazioni familiari. In questo contesto ho conosciuto Max, il fondatore di Parentability. Seguo i suoi incontri.  Mi conquista per il suo equilibrio, per la professionalità e per il suo abbraccio!

Difficile definirlo, sarebbe riduttivo. Sicuramente un punto di riferimento, per me, soprattutto dopo la dipartita di Attilio (Maestro ed Amico comune).

Pochi giorni dopo lo stop forzato dovuto al COVID19, mi coinvolge in questo coraggioso progetto che è ChiAmaMi. La sua generosità e la sua passione sono contagiose. Non è sempre facile per me mettermi in gioco ma Max riesce benissimo a coinvolgermi, a farmi percepire il valore di questo contributo.

Lui è sempre disponibile ad un ascolto che apre alla trasformazione e a ricordarmi ciò che da tempo già so ma a volte dimentico: per trasformare, basta semplicemente  stare in ascolto, osservare, prendendo atto di ciò che c’è”.

Condivo questa sua citazione.

Ciò che è espresso è impresso!  E spesso esprimere un pensiero ci rende più liberi di trasformarlo”.

A volte è come per le costellazioni familiari: il cliente arriva, racconta al facilitatore, mette in scena la sua immagine interiore (che corrisponde alla sua attuale verità). In questo modo ha la possibilità di osservare da differenti prospettive, si forma una nuova immagine e prosegue il suo viaggio…

 

Quali meravigliose verità!

Potremmo proseguire ma sento sia meglio fermarmi qui. Personalmente, per dare valore a questa realizzazione, che si rivela con una buona sensazione nel corpo, sento la voglia di coccolarmi il tempo necessario. Sapendo che presto la mia curiosità mi porterà a porgli nuove domande, che mi apriranno a nuove strade.

Grazie Max, grazie!

Articolo scritto da Cristina Farina

Max, avrei bisogno di alcune conferme. Gli confido che rimanere centrata in questi giorni non è facile, tuttavia sento che in questo fermo ci sono tante possibilità da cogliere.  Ad esempio osservare, come in una foto, alcune relazioni alle quali vorrei porre maggiore attenzione.

Il rapporto con mia figlia ed il rapporto con mia madre.  Max mi ascolta, mi pone alcune semplici domande, ammiro la sua capacità di mettere in campo l’arte della maieutica*

* maièutica s. f. ([dal gr. μαιευτικ (τχνη), propr. «(arte) ostetrica», «ostetricia», der. di μαα «mamma, levatrice»]. – Termine con cui viene generalm. designato il metodo dialogico tipico di Socrate, il quale, secondo Platone (dialogo Teeteto), si sarebbe comportato come una levatrice, aiutando gli altri a «partorire» la verità: tale metodo consisteva nell’esercizio del dialogo, ossia in domande e risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare dentro di sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma.

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