Mi sento molto stanca, a tratti sopraffatta e inondata da un profondo senso di insoddisfazione.
Osservo la mia vita, cosa faccio e mi dico:“Dai, non hai motivo per sentirti così, che succede?”.
Mi fermo e l’unica risposta che arriva è:“Non lo so!”.
Quindi come spesso faccio, chiamo Max e gli chiedo di aiutarmi a comprendere e vedere ciò che non riesco.
Inizio a raccontare, lui mi ascolta e poi mi chiede:”Quando è successo la prima volta?”.
Una domanda che mi lascia perplessa e mi spinge a chiedere:“Quando è successo cosa?”.
Lui:”Quando hai iniziato a cercare di fare felici i tuoi genitori?”
Mi manca il fiato appena sento quelle parole, poi lo stomaco si alleggerisce e sorrido di tenerezza per me, perché sento la fatica di questa impresa: un monte da scalare, senza arrivare mai alla cima. Una traguardo inesistente, che è tale proprio perché nessun figlio deve rendere felici i genitori. Non è il loro compito, non è il loro destino.
Questa impresa ha un impatto in tutta la mia vita, nel lavoro, nelle relazioni, nei miei progetti, come avere un buco in cui entra il meglio di me e si disperde, portandomi alla stanchezza, all’esaurimento e a non mettere energia in ciò che veramente può fiorire e prosperare.
Come fare?
Max mi invita a sentire come è riconoscere questa verità e poi mi fa fare un esercizio sistemico. I miei genitori sono davanti a me, li guardo e gli dico:“Ci ho provato, ce l’ho messa davvero tutta, ho dato il massimo, ma per me è troppo, voi siete grandi e io piccola”.
Pensavo fosse più dura, nel reame delle azioni invece ho sentito dolore al cuore e tanta leggerezza.
Spesso quando si è piccoli e ci viene chiesto di dare invece di ricevere, tipicamente amore e attenzioni che chi è grande di norma dona ai suoi piccoli, si risponde inventandosi varie strategie per fare felici i nostri genitori pur non avendo alcuna idea di come fare.
Diventiamo bravissimi a dare, dare e dare ancora e spesso l’effetto collaterale è che non ci sembra mai di aver fatto abbastanza!
Ma un piccolo non può dare ad un grande ciò che il grande può solo scambiare con i suoi pari, così si finisce fuori posto, ci si stanca per accorgersi prima o poi che un piccolo non può fare felice un grande, almeno non in questo modo.
Sono passati alcuni giorni da quando ho fatto l’esercizio ed è successa una cosa importante: sono diventata maggiorenne!
La notte del 18° anniversario della morte di mio padre, ho fatto un sogno. Un sogno che aveva un sapore di guarigione.
Ho sognato mio padre, eravamo nella nostra casa, quella dove sono cresciuta.
Mio padre era al tavolo e parlava con Max.
Max era venuto da un viaggio lontano e aveva portato con se un regalo: un gruppo di artisti che hanno organizzato una festa, una parata: c’era allegria, c’era musica, c’era leggerezza, c’era felicità!
Al mio risveglio, ho sentito mio padre al mio fianco, erano 18 anni che non l’ho sentivo con la sua forza, la sua leggerezza, la sua allegria, la sua ironia, la sua curiosità: doni e tesori che sono anche miei.
Grazie per la vita, è tanto ed è abbastanza, proverò a farne qualcosa di buono!
Articolo a cura di Prem Siri K. Facilitatore di Discipline Evolutive, Insegnante di Yoga e Meditazione, Sat Nam Rasayan Healer, parentAbiliter.
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